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Elisa* intervista Deborah Gray


Questa volta il filo di lana ci porta da Deborah Gray, inglese d’origine e scozzese d’adozione, filatrice di lunga data con una grande passione per tutte le arti manuali, tanto da poter essere definita un’artista a tutto tondo.

Buongiorno, Deborah. Cominciamo dalle origini: grazie alle donne della tua famiglia fin da bambina hai vissuto immersa in un mondo di fili e filati. Si può dire che le tue passioni siano nate proprio allora?

Senza dubbio. Sono cresciuta con mia madre e mia nonna, sarte e magliaie esperte. Uno dei miei primi ricordi è legato proprio alla nonna che mi racconta la storia della coperta stesa sul mio letto. Era formata da tanti quadrati di maglia diversi, ognuno ricavato da lavori ai ferri che lei stessa aveva confezionato per tutta la famiglia e che erano stati poi riciclati in questo modo. Ogni riquadro aveva una storia, che io ascoltavo affascinata. C’erano addirittura ritagli di vecchi vestiti risalenti al periodo della guerra. Poiché ero l’unica bambina in una casa tutta di donne ero senz’altro più “esposta” di altri miei coetanei ai lavori manuali. A tutte le ragazze della generazione di mia madre venivano insegnati i rudimenti di maglia e cucito fin dalla tenera età, e ci si aspettava che diventassero abili sarte e magliaie. Mia madre mi raccontava che durante la guerra lei e le sue compagne di classe confezionavano calze ai ferri per i marinai. Da lei ho ereditato il bisogno di avere sempre le mani occupate. Posso dire che la tradizione della mia famiglia sia riassunta dal detto «Il diavolo fa lavori per mani pigre»: se a casa nostra te ne stavi senza far niente, qualcuno ti trovava immediatamente un lavoro, quindi era sempre bene essere occupati in un’attività di propria scelta! Eppure sono stata sul punto di abbandonare per sempre il lavoro a maglia all’età di sette anni, quando la mia classe ricevette l’incarico di confezionare strofinacci bianchi di cotone: riuscite a immaginare qualcosa di più noioso da lavorare ai ferri? Per dieci anni non volli più saperne di ferri e filati, ma in compenso iniziai a confezionare abiti, prima per le mie bambole e poi per me. Con il tempo iniziai a cucire gonne, giacche e camicette per le amiche in cambio di tagli di stoffa che poi usavo per le mie creazioni. Fu un coloratissimo maglione confezionato con la tecnica fair-isle che mi fece riprendere in mano i ferri: decisa a rifarlo, con l’aiuto di mia madre arrivai alla fine del progetto, anche se probabilmente la qualità del lavoro lasciava assai a desiderare. Da allora, mi capita raramente di non avere un lavoro iniziato sui ferri. Mia mamma e mia nonna, però, non hanno mai filato, finché io stessa non l’ho insegnato loro negli anni Ottanta.

Prima di approdare al fuso hai quindi sperimentato altre attività manuali come la maglia e il cucito: cosa ti ha dato la filatura che non hai trovato altrove?

Quando ho provato a filare per la prima volta, alla fine degli anni Settanta, mi sembrava di trovarvi un legame naturale con il lavoro a maglia e le altre attività creative che avevo sempre fatto (il macramé era assai popolare all’epoca, così come il crochet), senza considerare la crescita di movimenti culturali basati sui concetti di ritorno alla natura e autosufficienza. Anche il denaro era un fattore da considerare: ero una studentessa con pochi spiccioli in tasca e avevo saputo che al prezzo di due o tre gomitoli avrei potuto comprare un vello intero, sufficiente per confezionarmi almeno un paio di capi d’abbigliamento. Ma l’aspetto che più mi affascinava era la possibilità di prendere qualcosa allo stato grezzo, come un vello, e attraverso il solo uso delle mie mani e di pochi strumenti, riuscire a ottenere una grande varietà di filati da trasformare a loro volta in vestiti, accessori e in un’infinita gamma di oggetti decorativi e funzionali. Appena preso tra le mani il primo fuso, precario e barcollante, sentii dentro di me il desiderio di imparare di più e fare meglio. Trovai un’insegnante e provai un filatoio a ruota: la passione era nata!

Questa passione per la filatura è legata all’utilizzo diretto dei filati che produci?

Si, io vedo il filato come qualcosa da utilizzare per creare qualcos’altro, non come un punto d’arrivo. Proprio per questo, per me, deve essere funzionale e adatto allo scopo. Dal primo momento in cui maneggio il materiale grezzo, che sia un vello, un bozzolo di seta o un’altra fibra anche parzialmente lavorata, inizio a pensare a ciò che vorrei creare con il filo che otterrò e a come preparare e lavorare le fibre in modo da evidenziarne le caratteristiche migliori. Allo stesso modo, se ho in mente un progetto particolare scelgo con cura le fibre da usare ed eventualmente mischiare, per creare il filato più adatto. Attualmente uso i miei filati soprattutto per lavori a maglia, su schemi disegnati da me, o talvolta per decorare lavori in feltro. Il mio telaio è momentaneamente smantellato perché non ho abbastanza spazio in casa, quindi da alcuni anni purtroppo non ho modo di tessere i miei filati.

Fra i diversi materiali che hai sperimentato, qual è quello con cui preferisci lavorare?

Mi piace sperimentare tutte le fibre che mi capita di avere tra le mani. Quando insegnavo fisiologia agli studenti di veterinaria ero solita recuperare fibre durante le visite che facevamo allo zoo di Edimburgo: mi è capitato anche di raccogliere materiale pettinando i cammelli dello zoo con un rastrello da giardino! Il mio esperimento più recente è stata la filatura della peluria di scoiattolo trovata sotto un albero, al parco (risultato: un filato inconsistente, difficile da lavorare per via delle fibre troppo corte e viscide). La seta è molto bella da vedere e da toccare, ma se filata partendo dal top risulta troppo molle per essere lavorata a maglia. Diversa è la filatura partendo dal bozzolo: i successivi lavori a maglia hanno una texture migliore, anche se prediligo la filatura mista di seta con lana o cashmere. Ma il mio materiale preferito resta in assoluto la lana: è perfetta in termini di resistenza, isolamento termico e vestibilità, e con una gamma così ampia di razze ovine si possono ottenere fibre adatte praticamente per tutti gli scopi. Le mia preferita è la pura lana Shetland, proveniente dall’omonima razza: al tocco risulta “viva” – caratteristica che manca anche ad alcune delle lane più belle, come la merino – e ha una gamma di magnifici colori naturali. Può essere abbastanza sottile per creare i famosi scialli traforati delle isole Shetland (uno scialle di un metro lavorato ai ferri, che può passare attraverso la fede nuziale di una donna) e allo stesso tempo abbastanza robusta per poter lavorare maglioni, giacche e coperte. Ricordiamo, in ogni caso, che ovunque decidiamo di rifornirci per la nostra materia prima, optare per le fibre naturali, specialmente da fonti conosciute, significa scegliere di aiutare i piccoli allevatori e la microeconomia delle comunità rurali.

La filatura non è l’unica attività di cui ti occupi: si tratta di bisogno di alternare o piuttosto è la curiosità di sperimentare materiali e tecniche diversi?

Attività come la tintura derivano spontaneamente dalla filatura. Mi piace usare soprattutto tinture naturali, derivanti da piante raccolte in giro o cresciute direttamente nel mio giardino. Quest’estate ho sperimentato il mix di tinture vegetali e luce solare (uno dei vantaggi di vivere così a nord è proprio quello di avere giornate molto lunghe durante l’estate), e ho avuto buoni risultati sia con i fiori sia con le bacche, ma ammetto che mi piacciono molto anche alcuni degli effetti che si possono ottenere soltanto tramite l’utilizzo di tinture sintetiche. Il feltro è un’altra compagnia naturale della tessitura. Le tecnica di infeltrimento ad aghi è adatta per creare piccoli oggetti e per le decorazioni, ma non è il processo che prediligo. Mi soddisfa molto di più il procedimento ad acqua, per la possibilità di creare oggetti tridimensionali senza cuciture, come borse, pantofole o cappelli (che si possono usare come ciotole nel caso in cui si sbagli la misura!). Riuscire a portare quasi a termine un progetto in un’unica volta è agli antipodi dei lunghi tempi della filatura, del lavoro ai ferri o della tessitura, nonostante la tecnica del feltro ad acqua sia un lavoro fisicamente molto duro.
Uscendo dal mondo di fili e filati, mi piace anche lavorare il vetro. Sono stata sempre attratta dai colori e dalla struttura del vetro fatto a mano e mi piace la sfida di disegnare qualcosa che si possa realizzare semplicemente tagliando il vetro a mano. Le caratteristiche del materiale e della lavorazione sono molto diverse da quelle del mondo dei filati e richiedono un tipo di concentrazione particolare. La lavorazione manuale del vetro è un mestiere antico, anche se non quanto quello della filatura: entrambe mi regalano un senso di connessione con oggetti pieni di storia e con le persone che li hanno creati.

Sembra facile immaginare che l’attività della filatura lasci libera la mente: quando il filo corre tra le mani, dove volano i pensieri?

Ogni progetto va pianificato per bene a monte, ma la fase di preparazione in genere è ripetitiva e la mente ha subito modo di essere libera. Poi inizia il lavoro di filatura: inizialmente occorre concentrarsi per ottenere il giusto spessore e la giusta torsione del filo, ma appena trovato il ritmo inizia la fase rilassante, in cui i pensieri possono correre in tutte le direzioni. Oppure ci si può concentrare sul movimento e sul processo, escludendo tutti gli altri pensieri, proprio come in una sorta di meditazione. Le attività ritmiche e ripetitive, soprattutto quelle che richiedono la coordinazione mani-occhi (e piedi, nel caso di un filatoio a ruota), sono note per gli effetti benefici che hanno sul cervello, sulla pressione sanguigna e su tanti altri fattori fisici. Anche imparare qualcosa di nuovo è uno stimolo positivo, a qualsiasi età, e può addirittura ridurre o ritardare la demenza senile. I filatori sono sempre alle prese con tradizioni diverse, fibre o tecniche innovative, nuovi modi di usare il filato o quanto meno di porre rimedio agli errori: il nostro cervello dev’essere davvero in forma! Inoltre la filatura può essere anche un’attività da condividere socialmente. In Inghilterra esistono molti gruppi di filatura, più o meno formali, che si riuniscono periodicamente non solo per lavorare ma per imparare e socializzare. Sarebbe carino vedere anche in Italia qualche spin-café, accanto agli ormai numerosi knit-café.

All’attivo hai un sito, un libro fresco di stampa (Filare a mano: come creare bei filati, un manuale pratico in italiano), una nuova collaborazione con il sito Maglia e Uncinetto: come mai, secondo te, tanto interesse nei confronti dell’arte lenta della filatura?

Probabilmente una delle ragioni sta proprio nella lentezza. La filatura è un’attività di calma e creatività, grazie alla quale si può produrre qualcosa di bello e di utile. Un modo produttivo di rilassarsi che permette anche di riavvicinarsi alle origini degli oggetti che usiamo quotidianamente, lontano dalla produzione di massa e in direzione di creazioni uniche e sostenibili. La maggior parte delle persone a cui ho insegnato a filare negli ultimi 25 anni (quasi tutte donne) svolgevano già attività legate al mondo dei filati, come la tessitura o il lavoro ai ferri, ed erano interessate ad approfondire la conoscenza dei materiali oppure a recuperare una parte della storia familiare, come per esempio una generazione di nonni filatori. Ho anche insegnato ad alcuni uomini, in particolare a due ingegneri che erano però più interessati ai processi e ai macchinari che non ai filati prodotti.
Il libro che ho scritto nasce per venire in aiuto ai miei “studenti” italiani con un manuale pratico di filatura scritto nella loro lingua, visto che non sono riuscita a trovare niente del genere sul mercato. La stesura del testo ha richiesto davvero molto tempo, dato che non conosco perfettamente l’italiano, e mi sono poi trovata nella buffa situazione di doverla tradurre nella mia lingua madre su richiesta dei miei allievi inglesi.

Come mai tieni molti corsi in Italia? A prescindere dal tuo amore per il nostro paese, c’è una tradizione riguardante la tessitura che le persone vogliono recuperare?

Mi fa sempre molto piacere insegnare alle persone a filare, ovunque esse siano, ma certamente adoro insegnare in Italia! Mi offre l’opportunità di combinare due passioni: viaggiare nel vostro paese e trasmettere la mia conoscenza a persone che vogliono davvero imparare. Sto tentando di scoprire qualcosa di più sulla tradizione della filatura a mano in Italia, ma sembra esserci una sorta di interruzione nel tramandarne la conoscenza tra la generazione dei nonni e quella attuale. Sono in molti a essere interessati al recupero di questo antico sapere, ma sono poche le risorse locali in grado di insegnare: spero di riuscire a sopperire almeno in parte a questo bisogno. I miei corsi in Italia sono cominciati quasi per caso, quando in un famoso sito di knitting notai che molti italiani ponevano domande sulla filatura senza riuscire a ottenere risposte. In questo modo sono entrata in contatto con una persona volenterosa che mi ha aiutato a organizzare la prima sessione di prova a Firenze. Da allora ho tenuto sei corsi a Lucca, due in Sardegna, e i prossimi saranno quelli per The Whool School.

I corsi che proporrai sono due. Per chi sono pensati? Quali sono i contenuti?

Assieme agli organizzatori abbiamo pensato a due corsi diversi da proporre in un unico weekend: una giornata dedicata ai principianti (sabato 19 novembre) e una di approfondimento (domenica 20 novembre) dedicata a chi ha già qualche esperienza di filatura. Nel corso base si comincerà dai primi rudimenti partendo proprio da un vello grezzo. The Whool Box mi ha gentilmente inviato i campioni di quattro diversi velli e fra questi ho scelto quello che meglio si presta a essere filato a mano, la razza sambucana. Divideremo il vello secondo le diverse qualità della lana che lo compongono, per poi imparare i modi per prepararlo alla lavorazione. Analizzeremo anche altri tipi di fibre, come la seta, e impareremo a mischiarle ai colori prima della filatura. Nel pomeriggio si comincerà a filare usando dei fusi, producendo filati a un capo singolo e doppi. Affronteremo diversi argomenti tra cui il lavaggio dei filati e il fissaggio del filo ritorto. Per non perdere gli insegnamenti, metterò a disposizione le copie del mio libro che gli allievi potranno portare a casa, insieme alle matasse di filo che avranno prodotto.
Nella giornata dedicata agli esperti comincerò chiedendo se qualcuno ha argomenti particolari che desidera trattare (a questo proposito, invito a scrivermi una mail prima del corso, in modo da preparare approfondimenti e materiale, e sarebbe anche utile sapere se i corsisti porteranno i propri filatoi ed eventualmente di che tipo). Proveremo a creare e mischiare fibre nuove e tradizionali, conosceremo diverse tipologie di filati che ognuno avrà la possibilità di provare a creare. Discuteremo insieme su come ottenere lo spessore corretto e il numero di torsioni necessario per creare il filato adatto a ogni progetto, tutte tecniche che gli studenti potranno sperimentare sul campo. Gli strumenti che porterò con me saranno disponibili per la vendita e se necessario posso organizzare anche una spedizione per eventuale materiale ordinato durante i corsi.

Anche per te la domanda riservata alle nostre maestre: un libro che hai amato e che ci consiglieresti.

Tralasciando i manuali inerenti la filatura (i più interessanti sono ormai tutti fuori stampa!) ho una grande passione per i romanzi ambientati in Italia, proprio perché amo il vostro paese. In particolare ne ricordo uno, Miss Garnet’s Angel di Salley Vickers, ambientato in una splendida Venezia: amore e arte in una delle più belle città del mondo!

Valentina: l’arte di mettere una toppa


17 ottobre 2011

È una storia infinita. Sto parlando dell’idea del signor L. di tappezzare tutto l’ufficio con il feltro, fino all’altezza di un metro e mezzo. L’idea in sé non è affatto male, è la sua realizzazione che mi devasta. Al solo pensiero di quanto ci avremmo messo a ricoprire le pareti con carta da parati invece che con la lana, mi prende lo sconforto. Ci sto impiegando ore su ore, e il risultato ancora non si vede. In più ho sbagliato a riportare delle misure su un pezzo di feltro, e ora mi ritrovo a dover fare una toppa. Speriamo di venirne a capo, perché non sopporto più la smorfia che faccio ogni mattina, quando entro in ufficio e vedo quel maledetto rotolo di feltro parcheggiato in un angolo.

V.

18 ottobre 2011

Personaggi di rilievo oggi in visita a Wools of Europe. Purtroppo era il mio turno di stare in ufficio, e li ho solo visti arrivare ed uscire, ma tra le persone che ho notato c’era anche una giornalista. Ci farebbe comodo un po’ di pubblicità, tanta gente ancora non sa che cosa ci sia qui.

V.

19 ottobre 2011

Questa mattina L.&L., con l’aiuto della nostra M.T., hanno portato giù dal piano superiore un bellissimo tavolo risalente ai tempi del cotonificio. Lo sappiamo perché sotto di esso L. ha trovato un’etichetta decorata con la data scritta a mano. L’idea era quella di utilizzarlo come banco scolastico per il corso che si terrà sabato con Emma Fassio, ma poi il signor L. ha detto che sarebbe stato molto più bello se fosse diventato il “tavolo delle coperte”, e così io e L. l’abbiamo foderato con della stoffa nera, e ora si trova in bella vista davanti all’ingresso, con sopra esposta la mitica cesta della lana e le coperte del territorio.

V.

20 ottobre 2011

Ne succedono di tutti i colori qui a Miagliano, nonostante sia un paesino davvero minuscolo. Oggi, in uno dei budelli che usano qui al posto delle strade, si è consumata una piccola tragedia (per modo di dire, ovviamente): un camioncino (non un TIR con rimorchio, un camion normale) ha sbagliato a prendere le misure di manovra e ha cozzato contro un balcone, vaporizzandolo, tranne che per qualche gigantesco detrito che si è delicatamente poggiato sul manto stradale, con il rumore di una slavina. Abbiamo quasi pensato che ci fosse un terremoto…

V.

21 ottobre 2011

Ennesima giornata passata a tappezzare il muro. Sto cominciando a non poterne più, così oggi ho preso due spiccioli e sono andata in missione “colla per tessuti”. Un tubetto grosso quanto un ago da insulina costa circa 5 euro… Alla fine ho comprato del Bostik. Ha un odoraccio, è super chimico ma non costa come un litro del mio sangue! Di bello c’è che alle cinque del pomeriggio eravamo tutti sorridenti e strafatti per i vapori della colla, e due pareti sono praticamente finite. Come anche il tubetto da 125 g di Bostik. Il resto dovrà attendere mercoledì, quando sarò tornata dal week end (lungo) a Londra. Goodbye!

Ritorno a casa


The Wool Box presenta Asterischi*, la nuova rubrica curata da ElisaNata a Busto Arsizio, mamma del piccolo Lorenzo di sei mesi, Elisa si è diplomata al liceo sperimentale e ha lavorato per diciassette anni in banca, durante i quali si è laureata in scienze dell’educazione. Dopo un’esperienza di un paio d’anni nel sociale, un radicale cambiamento di vita l’ha portata in Namibia. Fino al rientro non programmato nel biellese, dove tutt’ora risiede. Appassionata di cucito e assemblaggio tessuti, realizza creazioni con le sue galline.

Sono le sei del mattino. Riva Valdobbia è in fermento per l’annuale Fiera di San Michele, un tempo fiera del bestiame, riconvertita oggi in una colorata e frequentata festa dell’artigianato. Quest’anno, anziché con il mio adorato pollaio di stoffa riciclata, sono qui in veste di ambasciatrice per The Wool Box, con coperte, gomitoli, manufatti in feltro (tutta lana proveniente dai pascoli biellesi e valsesiani) e tanta voglia di raccontare una bella storia.

Molti gli sguardi curiosi. Li lascio avvicinare, toccare i filati, annusare la lana, accarezzare coperte… E poi non si resiste: ci sorridiamo e le parole scorrono da sole e raccontano di questa interessante realtà a due valli da qui. Il recupero di tose che andrebbero perse perché troppo esigue per essere lavorate con la giusta convenienza, la salvaguardia delle piccole, importanti razze autoctone, l’obiettivo di raccogliere i velli delle centinaia di razze ovine europee, la ricerca e la valorizzazione delle piccole produzioni artigianali legate alla lana, l’entusiamo, i progetti, i corsi… Lascio i pieghevoli con l’indicazione del sito («Così potete dare un’occhiata») e raccolgo gli indirizzi mail di chi vuole essere informato su ciò che accade. Sono qui per raccontare eppure, come spesso accade, mi ritrovo ad ascoltare.

Ascolto la storia del signor Mario, radici biellesi e una vita passata nei lanifici. «Questa sì che la riconosco, questa è la nostra lana, un pò ruvida, ma vuole mettere! Perchè, sa, adesso si usano tutte quelle lane morbide, che sono calde, per carità! Ma con quelle fibre così corte non si possono certo ottenere filati resistenti. Non lo vede che tutti i maglioni di cachemire hanno le toppe ai gomiti? Una volta i maglioni duravano una vita…». Al signor Mario non lascio nessun pieghevole. Tra le mani ha il suo bastone e in tasca la nostra lanosofia ben radicata. Di una tastiera non saprebbe che farsene.

Poi c’è il marito di Annette, tanti anni nei rifugi di montagna dove «le coperte erano proprio tutte così, come queste: lana un po’ cruda, ma calda e soprattutto resistente, eterna». Calore, e qualcosa che non sia effimero: tutto quel che cerca chi arriva lassù, dopo la fatica del sentiero.

Una piccola signora, mani nodose e una nuvola di capelli bianchi, si avvicina ai gomitoli e come mossa da un gesto istintivo, vi affonda le dita e gli occhi si perdono dietro chissà quali ricordi, quasi commossi, come se tornassero a casa. «La lana di una volta…». Ogni parola sarebbe di troppo, cerco di ascoltare la sua emozione. E la ringrazio.

E poi c’è Luca, appassionato frequentatore della valle, nessuna “storia di una volta” da raccontare, ma forse una nuova storia da scrivere attorno alla coperta che decide di regalarsi. «La compro per la baita in Val Vogna!». La conosco quella baita, è a Cà Vescovo, una manciata di casette lungo il sentiero della Val Vogna, che si animano la domenica grazie alla voglia di evasione da cui nessuno di noi è immune. Su una pietra ai piedi dell’ingresso c’è la data di costruzione: 1866. Scommetto che la baita ne ha già viste di coperte così. È probabile che le abbia persino viste nascere, giù nella stalla, alla luce di una candela, tra le mani di una donna che filava di sera. E non posso evitare di fantasticare che, presto, fuori da quella porta, passerà un gregge in discesa verso l’ovile caldo dell’inverno. Sarà proprio quello che ha donato il vello per la coperta di Luca? Mi piace immaginare che sia così e che, una volta ogni tanto, il prodotto di una terra ritorni a casa propria.

Tra tanti incontri, scambi e parole, la giornata è scivolata via. Carico in macchina le mie lane e le mie storie e punto in direzione casa: la valle in discesa, una fila di artigiani e di curiosi che si muove insieme a me, a farmi compagnia. Poi, all’improvviso, tutti fermi. Che succede? Che bello, la transumanza! (E qui, la penna di chi scrive, vorrebbe tanto trasformare la mandria di mucche in arrivo in un bel gregge di pecore, per donare alla storia un finale perfetto! Ma la penna, e la coscienza, si inchinano entrambe alla verità). Arrivano i pastori, in famiglia: bambini sorridenti sul dorso delle mucche, ragazzi che badano all’ordine con energia e con l’aiuto dei fedeli amici a quattro zampe, gli adulti, attenti, stanchi, appagati: in ogni ruga una stagione, in ogni passo la fatica di chi non molla. Il caldo sta per finire, i pascoli hanno donato la loro ricchezza, è tempo di rientrare. A voi, amici preziosi, buon ritorno a casa.

Valentina: acqua, colori, elettricità

19 agosto 2011

Oggi qui da noi sono arrivati due esponenti del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico della sezione di Biella. Si occupano di salvataggi in montagna sia d’estate che d’inverno e sono altamente specializzati nelle ricerche. Ascoltando quello che dicevano al signor L. ho capito che sono molto attivi sul territorio, che hanno rapporti diretti con gli allevatori che vivono dalle nostre parti e che hanno veramente a cuore le nostre montagne. Sono particolarmente sensibili al discorso di prevenzione e salvaguardia dei pascoli perché ci tengono a operare in un ambiente montano pulito e preservato. Mi sono sembrate persone speciali per come si danno da fare per proteggere le nostre belle montagne e renderle sicure per chi ci vive o le visita.

V.

22 agosto 2011

Oggi ho conosciuto una persona davvero interessante. È un signore inglese a cui mi è stato chiesto di fare da cicerone, presentandogli e descrivendo i nostri prodotti e i nostri filati. Subito mi ha preso il panico, ma poi me la sono cavata facendogli vedere le nostre Wool Boxes (che gli sono piaciute molto), le coperte del territorio e quelle da picnic, i prodotti in feltro e una carrellata veloce delle cerazioni deliziose di Les Tisserands che teniamo esposte con orgoglio. Stavo iniziando a rilassarmi e a prendere un po’ di confidenza con la lingua quando il signor N. di The Wool Company se l’è portato via…

V.

23 agosto 2011

Oggi fa un caldo tropicale: torrido e umido. Guardando la macchina parcheggiata fuori si può vedere l’aria tremolante sul tettuccio… Per fortuna qui dentro si sta benone. Cari vecchi muri fatti all’antica maniera, voi sì che sapete cosa vuol dire evitare la dispersione e mantenere il fresco! Nella pausa pranzo sono scappata al torrente in cerca di un po’ di frescura. Un bagno nella lama vicino alla roggia è stato rigenerante. Una volta uscita dall’acqua non sentivo più il sole così caldo. L’acqua è fantastica e fredda… anche se sa un po’ di pesce.

V.

25 agosto 2011

Giornata all’insegna della creatività. Si fa per dire: in realtà quello che abbiamo fatto ha ben poco di di creativo. L. e il signor L. sono arrivati con pennelli e secchi di vernice rossa e bianca, abbiamo agguantato due bancali e ci siamo messi a spennellare a più non posso. Ne sono uscite un paio di foto interessanti, che a fine giornata avevano suscitato molta curiosità. Io so molto bene che impiego avranno, ma è ancora segretissimo.

V.

26 agosto 2011

C’è un’aria elettrica stamattina. Sarà che la temperatura sta scendendo, ma oggi io e L. siamo tesissime. Per di più sembra che non ne vada una giusta: volevamo finire di dipingere i bancali, che avevano riscosso tanta curiosità ieri, e abbiamo terminato la pittura bianca apposita. Ne abbiamo trovata dell’altra, da pareti, speriamo che il risultato sia comunque valido. Poi abbiamo scoperto di avere ancora da etichettare tutte le scatole (le famose Wool Boxex) e ci siamo armate di macchinetta etichettatrice, fino a quando, a metà del lavoro, non è finito il nastro. Panico! Dove andare a recuperarlo? Il posto più vicino era comunque lontano. Così, in cerca di una soluzione, ho sentito un amico che abita dalle parti del negozio, che si è offerto di andarci lui e di portarci il nuovo nastro nel pomeriggio. Salve per miracolo! Quando è arrivato lo abbiamo accolto come un eroe, saltellandogli attorno tutte contente. Poi, dato che aveva fatto tutta quella strada apposta, l’abbiamo adottato per il resto del pomeriggio. Nel frattempo è arrivato il signor L., con cui ha fatto subito amicizia. Bene, ho pensato, va a finire che me lo ritrovo a lavorare qui!

V.