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Nuovi incontri per Valentina


15 giugno 2011

Questa mattina mi è stato chiesto di andare in posta e, date le dimensioni esigue del paese, ci sono andata a piedi, attraversandolo in dieci minuti. Ho avuto così modo di vedere il glorioso paesino di Miagliano, 665 anime, qualche cane, un postino, un tabacchino e la classica gente da paese di montagna, affabile e disponibile, ma anche terribilmente pettegola!
Appena entrata, con le mie brave letterine in mano e il mio sorriso da Heidi, non ho potuto fare a meno di ascoltare la signora allo sportello e un uomo anziano che stavano discutendo sulla dubbia paternità di un ragazzo del paese, compagno di scuola della sorella della nipote del cugino di terzo grado del vicino della moglie di questo signore… Soffocando a stento una risata (sarebbe stato poco gentile da parte mia), ho aspettato il mio turno, ho consegnato le buste e pagato. Nel frattempo una donna dai capelli ricci stava attraversando la piazza, e la signora delle poste ha esclamato, colpita: «Ma guarda un po’! La Rosanna si è tagliata i capelli».
Abituata come sono al mio paese, dove su 8000 abitanti ne conosco sì e no dieci, mi è scappato da ridere, e ho la netta sensazione che le due comari dietro di me non abbiano perso tempo a spettegolare su chi fossi e perché fossi così divertita, non appena sono uscita dalla posta.

V.

15 giugno 2011

È tornato il signor L., e abbiamo ripreso la routine al computer. Verso metà mattinata è arrivato un camion con lana francese e rispettivi allevatori, e sono stata chiamata a toccare con mano quello che avevano portato. erano cinque personaggi interessanti: due fratelli di origine italiana, che parlavano francese, italiano e dialetto piemontese (che spasso ascoltarli!), una signora dall’aria molto dolce con i vestiti colorati e i capelli argentati, una giovane donna dall’aspetto forte e ruvido e un uomo alto e dinoccolato con una buffa espressione sul viso.
I due fratelli non erano nuove conoscenze, e si è visto: la loro lana era già divisa in sacchi (di nylon). Gli altri invece l’avevano stipata chi in sacchetti di carta per il mangime, chi in giganteschi sacconi che sembravano dover scoppiare da un secondo all’altro. Nonostante questo, la lana è ottima e il signor M. dice che dev’essere una razza incrociata con pecore neozelandesi…
Finito di assistere al controllo della lana, sono tornata alla mia scrivania, ma poco dopo è spuntato il grande capo chiedendomi se avevo impegni nel pomeriggio, perché era in programma una visita per i francesi alla Pettinatura I..
Non potevo crederci! Stavo saltellando come una cotoletta sul fuoco. Non ero mai stata lì, con la scuola eravamo andati in visita al Lanificio F.lli Cerruti, ma nulla di più, e questa opportunità (una visita guidata, con tanto di spiegazioni ad hoc) mi faceva quasi girare la testa.
Così nel primo pomeriggio siamo arrivati, chi in macchina chi in camion, nel vasto e desolatao parcheggio di quella che un tempo era quasi una città, sia per il numero di persone che ci lavoravano sia per il traffico che c’era sempre. Ora sembra di entrare in un villaggio fantasma. Tutto è ancora in ordine e pulito, ma le persone che abbiamo incontrato nelle due ore trascorse li si contano sulle dita di due mani.

V.

22 giugno 2011

Il signor L. stamattina è arrivato dicendo che si sentiva un po’ mio padre, perché aveva un regalo per me. Mi ha consegnato una busta e io mi sono messa a ridere: dentro c’erano le chiavi dell’azienda (cancello e portone) ed è stato come tornare ragazzina, quando il mio papà mi ha consegnato le chiavi di casa dicendomi di farne buon uso. Ricordo ancora l’espressione seria e quasi severa che aveva quando è successo!

V.

29 giugno 2011

Oggi ho conosciuto una donna davvero eccentrica. È arrivata in tarda mattinata e appena è entrata l’aria si è come surriscaldata. La prima cosa che ho visto di lei quando è venuta a stringermi la mano sono stati i capelli: una frizzante cascata rossa di ricci vaporosi e ondeggianti. E poi la voce! Piacevole, calda, il tono sicuro di chi è evidentemente abituato a intrattenere le persone. Ha detto di chiamarsi Venette. Non posso immaginare un nome più appropriato per una personalità così particolare!

V.

30 giugno 2011

Oggi giornata di cambio look. Il signor L. ha fatto portare una cassettiera in legno dal suo vecchio ufficio, che ora se ne sta comoda comoda accanto alle scrivanie, in mezzo al passaggio.
News mobiliari a parte, ho terminato l’allestimento dello stand che presenteremo il 9 luglio a Cavaglià. Attualmente è collocato al centro del salone, delimitato da nastro adesivo di carta. Sono sicura che sarà bellissimo, e non lo dico solo per orgoglio personale.

Un giorno da pecora

Vi abbiamo già mostrato le foto del nostro Primo maggio dal barbiere insieme alle Prealpes du Sud. Discendenti da razze siriane, queste pecore sono originarie degli altopiani profumati di lavanda a cavallo dei dipartimenti di Drome, Ardeche e Haute Alpes. Rapida a saziarsi, pigra nel movimento, il ventre basso e le orecchie corte: l’aspetto più evidente della pecora Prealpes du Sud è il petto, privo di fibra. Pare che questa conformazione serva a limitare il fastidio dei vegetali che nell’erba alta altrimenti si aggrapperebbero fastidiosamente al ventre. La ricoprono lunghe fibre dalla groppa e dai fianchi, rendendola elegante come se fosse vestita con un abito lungo.

Una parte delle pecore ci aspettava in stalla a Caluso, mentre abbiamo incontrato le altre tra l’alta Valle Susa e il Briançonnais, migrate ai pascoli alti per la stagione estiva dopo l’inverno trascorso ai piedi del monastero di Bose. Tendenzialmente sedentaria, questa razza ha dovuto adattarsi alle esigenze degli allevatori che l’hanno portata fino ai pascoli d’alta montagna.

In quel di Caluso, abbiamo aiutato il nostro amico Ezio a prelevare le pecore dal recinto una alla volta, con perizia consumata, aiutandosi con il pastorale, per poi passarle a Giuseppe che, lesto di mano, ha tolto loro il cappotto con abilità tale da consentire la perfetta integrità della consistenza del vello. Analoga attività si è svolta a Bose, dove gli animali hanno dimostrato pazienza e umiltà quasi monastiche.

Questa mitezza è pareggiata dalla scarsità della fibra: con un chilo, un chilo e mezzo di sucido da ogni pecora, il prodotto della tosa è stato di 100-150 kg di lana, non di più. A segnalare la presenza degli agnelli, qualche chilo di vello particolarmente corto e fine, le cui estremità della fibra erano raccolte a punta, segno che prima di allora quegli animali non erano mai stati tosati.

I cento chili di Ezio unitamente ai duecento di Giuseppe non forniranno più di 130-150 kg di filato, ma tra noi e quella lana sucida è stato amore a prima vista: l’abbiamo comprata e quanto prima la metteremo in lavorazione per poterne disporre. Chi vorrà, a settembre potrà utilizzare questa fibra che a partire da oggi inizia la sua gestazione: verrà privata di vegetali e residui organici, selezionata per finezza, lavata, pettinata, filata, trasformata in matassa o avvolta su rocca e, se sarà possibile viste le ridotte quantità a disposizione, suddivisa in due parti di differente mano e colore. Un percorso di circa quattro mesi, sulla cui evoluzione non mancheremo di aggiornarvi.

Amore senza peccato

Un quintale circa di peso, lo sguardo pacifico e mansueto, il carattere abituato agli umori scostanti dell’uomo. Essenziale come la sua terra e suoi abitanti, orecchie lunghe e basse, tozza e resistente. È la pecora biellese, che gli specialisti identificano come ovis aries sudanica, comunemente detta anche piemontese alpina.

La biellese giunge ai piedi delle Alpi dall’Asia Minore, dopo secoli di viaggio e incroci, al seguito delle popolazioni transumanti mediorientali. Stando a Massimino Scanzio Bais, è probabile che il vello rustico di queste pecore verso il 1100 abbia fornito la materia prima per i panni degli Umiliati, che «per i loro voti di povertà e il loro carattere popolare trascuravano le produzioni fini». Sembra anche che le stesse, la sera del 23 marzo 1307, abbiano assistito al crollo delle ultime resistenze degli eresiarchi di fra Dolcino.

Solo nel 1600 viene censita nei registri di pastorizia e bestiame biellese e riconosciuta come razza. Nel 1768 fornisce il filato per produrre più di millecinquecento paia di calze al giorno destinate all’esercito del re Carlo Emanuele III. Come ancora racconta Scanzio, «uomini, vecchi, donne e bambini di Pettinengo e Camandona lavoravano a tempo perso la maglia, alla sera mentre attendevano nella stalla l’ora di andare a letto. Le ragazzine sferruzzavano mentre conducevano le bestie al pascolo. Forse sferruzzavano anche gli innamorati mentre stavano tubando. Anzi c’era allora un proverbio secondo il quale “amore con la calza è amore senza peccato”».

Quasi estinta nel dopoguerra, la biellese ritrova vigore a partire dagli anni Sessanta e riesce, nonostante gli incroci casuali, ad arrivare ai giorni nostri.

La pecora biellese non è stanziale, il suo carattere predilige la transumanza e i suoi pastori praticano ancora forme arcaiche di nomadismo. Il suo vello, da tempi immemorabili è stato soggetto alle più svariate lavorazioni, nobili e meno, e solo negli ultimi decenni è stato destinato a imbottiture e tappeti tralasciando le più onerose tecniche di pettinatura: le esperienze di filatura hanno prodotto in tempi recenti quantità amatoriali di cardato, sobrio, rustico e introvabile.

Fino a oggi.

Ma questa è un’altra storia da raccontare…

[continua]