Impossibile resistere al ritmo dei 9/8. Lo scorso weekend oltre 6000 visitatori si sono messi in coda per partecipare alla Wool Fest di Cockermouth, una delle più importanti fiere del settore laniero della Gran Bretagna. Due giorni di festa accompagnata da musica e balli popolari, con più di un centinaio di espositori.
A dire il vero, parlare di “espositori” ci sembra riduttivo: bisognerebbe coniare un termine più appropriato che renda la passione per la materia molto più che per il profitto di chi offriva le proprie originali produzioni: lana sucida, lavata, filata a mano, tinta a mano, con principi vegetali, in bottiglia, a freddo, bollita, passata al microonde. Molti impegnati a tessere al telaio, a sferruzzare, a lavorare il feltro. E poi intagliatori di bottoni in pietra, in legno e in ceramica. Non mancavano gli artisti, i creatori di pupazzi per bambini, i disegnatori a china e a pastello, gli stampatori di tessuti, gli annodatori di tappeti, i librai specializzati con libri recenti e pubblicazioni d’antan.
A Cockermouth i visitatori hanno potuto trovare tutto ciò che normalmente esula dai circuiti commerciali classici o evoluti e ne hanno approfittato. Tutti sono usciti con borse piene di prodotti, ognuno a suo modo prezioso e comunque introvabile. Anche noi non siamo stati da meno e, oltre alla borsa, ci siamo riempiti gli occhi, il cuore e la mente delle sensazioni e dell’atmosfera che si respirava lassù sul 55° parallelo.
E, consentitecelo, il bello è che non abbiamo trovato nemmeno una persona spocchiosa. Nessun maestro o benevolo dispensatore di saggezza centellinata: da chi ha parcheggiato la sua Jaguar o il Range Rover a chi ha raggiunto il festival a piedi dopo aver trascorso la notte in tenda, tutti erano accomunati da un’unica grande passione, quella per la lana e per la conoscenza della filiera che l’ha preceduta.
Crediamo sia questo il valore aggiunto della manifestazione: l’approccio al tema. Non più tardi di una settimana fa ci era stato chiesto un parere sullo scarso successo in termini di pubblico a una manifestazione a nostro giudizio straordinaria che aveva in oggetto gli stessi argomenti. Al di là del numero ridotto di espositori, il discrimine è stato l’approccio troppo enfatico dato sia dagli organizzatori sia dagli espositori ad attività che comunque appartengono alla tradizione e non alla punta avanzata del pensiero o dell’originalità artistica. In buona sostanza, quello che ci sembra di cogliere in Italia è una tendenza a sradicare la lana dal proprio contesto popolare, elevandola a un livello di manifestazione artistica o artigianalità evoluta, o persino di disciplina scientifica che, di fatto, ha come effetto il raffreddamento e l’allontanamento del grande pubblico. Pare di cogliere, in molte realtà nazionali, una sorta di profonda barriera tra il detentore di un sapere e il neofita, un confine che scoraggia i tentativi dei più timidi.
Come direbbe il fondatore del consorzio Biella The Wool Company, «non c’è nulla di più popolare della lana». Sono più di diecimila anni che conosciamo e lavoriamo questo materiale: non c’è nulla da inventare. Semmai c’è molto da riscoprire e rielaborare, fruendo degli strumenti di cui siamo oggi in possesso. Siamo chiamati a fare un passo indietro per farne due in avanti. Crediamo che anche questa sia cultura. Popolare, certo, ma comunque cultura, e ci piace molto pensare che possa essere mutuata e adattata anche alle nostre latitudini.
Ancora ebbri di pioggia, vento e passione, ci sentiamo in dovere di dichiarare il nostro entusiasmo per aver preso parte a una vera e propria manifestazione di orgoglio per un prodotto popolare che ha ancora tanto da dare. Basta solo fermarsi e lasciarlo parlare anziché coprirlo con i nostri belati. Vi lasciamo al sito della Wool Fest, anticipandovi che stiamo pensando a un concorso per i lettori del blog. Che ne direste se il premio fosse una due giorni a Cockermouth il prossimo anno?